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06 febbraio 2016

Piccola guerra perfetta di Elvira Dones

In questo libro le parole cadono come bombe. Una dopo l’altra. Lentamente. Silenziosamente. In modo preciso. Cadono come le bombe lanciate dalla Nato per fermare la pulizia etnica di Milosevic. E quando arrivano a terra colpiscono il cuore di chi legge fino a portarlo a un pianto finale, strozzato come le grida soffocate delle donne stuprate dai miliziani serbi.

La piccola guerra perfetta di Elvira Dones non è piccola, non è perfetta, è solo guerra. Un conflitto dove alle fiduciose aspirazioni della Nato “sarà una guerra aerea piccola e perfetta perché nessun soldato americano tornerà a casa in una bara” si contrappone quello che succede a terra.

Protagoniste sono tre donne assediate a Pristina, Rea, Nita e Hano, e le loro famiglie. Donne che vivono sulla propria pelle sia i bombardamenti che gli ottanta giorni di orrore scatenati dall’esercito serbo. Donne normali, arrabbiate, che provano a resistere e a ribellarsi alla violenza che spazza via la loro vita cercando di attraversare ogni giorno la città per telefonare al mondo e raccontare quello che sta succedendo.
Dalla finta calma prima dei bombardamenti alla tempesta di violenze, le loro vicende personali entrano nella storia e, come nel libro Cecenia di Anna Politkowskaja, non lasciano abbastanza aggettivi per descrivere la cattiveria scatenata dall’uomo contro un altro uomo.

Quando si arriva alla fine di Piccola Guerra Perfetta, non si può rimanere indifferenti. Non è solo un romanzo ben scritto, è molto di più. Sono storie vere romanzate, nate dopo anni di studi e ricerche condotte da Elvira Dones sulle violenze subite dalle donne kosovare.

L’essenza del libro è riassunta benissimo nell’introduzione di Roberto Saviano: “Non un romanzo sulla guerra, né romanzo di guerra, questo romanzo è direttamente la guerra. L’assunzione della guerra nell’occhio pietoso della vittima, che non giudica, non condanna ma comunica la sua visione attraverso uno sguardo limpido, classico che non distorce nulla”.

Quello che in realtà rimane è il senso dell’ingiustizia perfetta, che porta sempre e soli i civili a morire e soffrire, in balia di un pazzo dittatore o, come in Libia, di un esercito “amico” che vuole aiutarli nel modo sbagliato.

La guerra non è mai perfetta, l’ingiustizia sì.

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